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Quando il trasferimento del lavoratore è illegittimo?

25 Maggio 2023/in Diritto del Lavoro, News/da Avv. Claudio Balistreri

Il “trasferimento del lavoratore”, consiste in un provvedimento adottato dal datore di lavoro, mediante il quale viene disposto lo spostamento del dipendente tra sedi diverse della stessa struttura aziendale. In caso di rifiuto del trasferimento da parte del lavoratore, l’azienda può procedere al licenziamento per giusta causa, sulla base dell’assenza ingiustificata del lavoratore sul posto di lavoro.

Quando è possibile trasferire un lavoratore?

L’art. 2103, 8° comma, cod. civ. dispone che “il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”.

Lo spostamento del lavoratore, quindi, deve essere causato da esigenze organizzative, tecniche e produttive, “con riferimento sia alla sede di provenienza che a quella di destinazione” (Tribunale di Milano, sentenza del 20/5/2003) che devono coinvolgere un “processo di riorganizzazione interna comportante il venir meno delle mansioni in precedenza demandate al lavoratore medesimo” (Cassazione, ordinanza n. 15635/2020).

In altri termini, a titolo esemplificativo, quando la presenza di quel determinato dipendente nell’unità produttiva iniziale non risulta più utile, oppure, considerate le sue qualità e competenze, appare più opportuno collocarlo in un altro settore (in tal senso, tra tutte, si veda Cass., sent. n. 1383/2019).

La giurisprudenza di legittimità ha ricondotto tra le esigenze tecniche, organizzative e produttive, di cui all’art. 2103 codice civile, anche l’ incompatibilità aziendale, “trovando la sua ragione nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell’unità produttiva” e non in ragioni punitive o disciplinari (Cassazione, ordinanza n. 27226/2018).

Nel caso specifico, veniva ritenuto legittimo il trasferimento del lavoratore disposto per risolvere la conflittualità con altra dipendente, sfociata in denunce penali reciproche, sebbene non strettamente inerenti all’ambito lavorativo, in quanto suscettibile di determinare disservizi all’interno della piccola unità produttiva ove prestavano servizio.

Esistono dei limiti in capo all’autonomia del datore di lavoro nel trasferimento del lavoratore?

Il Giudice, nel vaglio di legittimità del provvedimento di trasferimento del lavoratore, non può spingersi a valutare il merito o l’opportunità del trasferimento, che rimane un dato discrezionale del datore di lavoro in base alla autonomia consentitagli in primis dall’art. 41 Costituzione.

Sul punto il Tribunale di Roma (con la sentenza n. 5490/2021), ha ritenuto il potere dispositivo del datore di lavoro in ordine al luogo di adempimento della prestazione lavorativa in quanto non sindacabile dal giudice sotto il profilo dell’opportunità, “potendo anche estrinsecarsi nella scelta tra più soluzioni organizzative che siano tutte egualmente ragionevoli, senza che l’inevitabilità del trasferimento del lavoratore, determinata dalla inutilizzabilità della sua prestazione lavorativa nel posto di provenienza perché soppresso e dalla vacanza del posto ove lo stesso sia trasferito, costituisca requisito di legittimità del suo provvedimento.”

In altri termini, il controllo giurisdizionale sulle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato, deve limitarsi nell’accertare solo che vi sia corrispondenza tra il provvedimento adottato dal datore di lavoro e le finalità tipiche dell’impresa e, trovando un preciso limite nel principio di libertà dell’iniziativa economica privata, il controllo stesso non può essere esteso al merito della scelta imprenditoriale, né questa deve presentare necessariamente i caratteri della inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento sia una tra le scelte ragionevoli che il datore di lavoro possa adottare sul piano tecnico, organizzativo o produttivo (Cass., ord. n. 27266/2018).

In che modalità avviene il trasferimento del lavoratore?

La giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che, in via generale, la forma scritta non sia necessaria per comunicare il trasferimento di dipendenti e pertanto, il trasferimento potrà essere comunicato anche oralmente o con qualsiasi altro mezzo.

Nemmeno viene richiesta la specifica indicazione dei motivi del trasferimento dei dipendenti, né un termine di preavviso (Cassazione, sentenza n. 1383/2019).

Alcuni contratti collettivi, tuttavia, possono chiedere non solo la forma scritta ab sustantiam della lettera di trasferimento, al fine di facilitare il lavoratore nella verifica delle condizioni di legittimità, ma anche un termine minimo di preavviso.

I motivi, quindi, devono essere comunicati in caso di specifica richiesta del lavoratore (in tal senso si veda, tra tutte, Cass. sent. n. 614/2019) qualora la lettera di trasferimento non li contenga.

La mancanza del preavviso del trasferimento del lavoratore non ne determina la nullità, ma il diritto del lavoratore ad essere tenuto indenne dal pregiudizio conseguente al maggior disagio sopportato (Cassazione, ordinanza n. 13968/2018) attraverso la corresponsione di una indennità.

Come si impugna il trasferimento illegittimo del lavoratore?

Nel caso della insussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 2103, 8° comma 8, cod. civ., il trasferimento del lavoratore può essere “annullabile”.

Può essere altresì “nullo”, ad esempio nell’eventualità in cui dovesse risultare discriminatorio.

Il provvedimento di trasferimento del lavoratore può essere impugnato entro termini alquanto brevi.

In primo luogo, subito dopo la ricezione della comunicazione di trasferimento, il lavoratore dovrebbe rivolgersi immediatamente al proprio legale, onde evitare il far trascorrere dei termini impugnatori.

La normativa di riferimento è la Legge n. 183/2010, nella quale troviamo anche i termini per l’impugnazione del trasferimento del lavoratore.

Secondo tale disposizione normativa, il lavoratore:

  1. dovrà impugnare il trasferimento di lavoro entro il termine di 60 giorni dalla data di ricezione della comunicazione nella quale gli viene notiziato del trasferimento presso un’altra sede (impugnazionecd “stragiudiziale” ex  6, co. 1, L. n. 604/1966);
  2. e nei successivi 180 giorni dovrà depositare il ricorsoin Tribunale ex  414 cod. proc. civ. o procedere con la richiesta di conciliazione (art. 6, co. 2, L. n. 604/1966). Qualora la conciliazione (o l’arbitrato) non vada a buon fine, il lavoratore ha il termine di ulteriori 60 giorni per depositare il ricorso al giudice del lavoro, sempre assistito dal proprio avvocato.
    Recentemente, la Corte Costituzionale (sentenza n. 212/2020) ha aperto alla possibilità di impugnare il provvedimento di trasferimento del lavoratore direttamente con un ricorso d’urgenza ex artt. 669-bis, 669-ter e 700 c.p.c., il quale è idoneo ad impedire, se proposto nel termine di decadenza, la decadenza dell’impugnazione stragiudiziale.

Ho diritto alla NASPI in caso di dimissioni per trasferimenti oltre i 50 KM?

La circolare INPS n. 142 del 2015 ritiene accettabile come motivo di cessazione di rapporto di lavoro involontario il trasferimento del lavoratore oltre 50 km di distanza dalla propria abituale residenza o presso una sede aziendale mediamente raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi pubblici.

In queste circostanze, infatti, il lavoratore potrebbe decidere di rifiutare il trasferimento, dando in tal caso le dimissioni volontarie per giusta causa, potendo tuttavia usufruire delle tutele previste dalla legge, tra cui l’indennità di disoccupazione, la NASPI.

La circolare INPS n. 163 del 2003 e la circolare INPS n. 142 del 2012, infatti, include anche lo spostamento del lavoratore da una sede aziendale a un’altra tra i requisiti per poter accedere alla NASPI.

Nello specifico, le motivazioni che possono determinare le dimissioni per giusta causa sono:

1) il mancato pagamento dello stipendio o il mancato versamento dei contributi previdenziali;

2) in caso di demansionamento, mobbing o molestie sessuali sul luogo di lavoro;

3) in caso di comportamenti ingiuriosi da parte dei superiori o del datore di lavoro;

4) le variazioni importanti delle condizioni di lavoro a seguito della cessione dell’azienda;

5) lo spostamento del lavoratore in una sede differente, a meno che lo spostamento non sia giustificato da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Relativamente a quest’ultimo punto, è bene rammentare che tra le eccezioni che permettono comunque di chiedere l’indennità di disoccupazione traspare il trasferimento del lavoratore a oltre 50 km dalla residenza abituale, anche se la risoluzione del contratto avviene in modo consensuale.

La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, avvenuta a seguito di una procedura di conciliazione presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro, costituisce un’eccezione alla giusta causa e permette di richiedere la NASPI.

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